....ERRARE ...&...PERSEVERARE... |
Un lucidissimo Lapavitsas, l’economista greco deputato di Syriza (ma euroscettico) affronta tutti i temi fondamentali: l’inevitabile uscita dall’euro, l’urgenza di rilanciare la domanda interna, la nefasta conflittualità prodotta dalla moneta unica, la povertà dei lavoratori tedeschi e le tensioni nella stessa Germania dovute alla linea mercantilista, e infine i danni prodotti dalla pericolosa ideologia dell'”europeismo”, che avvelenando il dibattito impedisce di capire che si sta frustando un cavallo morto.
di Elisa Simantke e Nikolas Leontopoulos
In un’intervista congiunta al quotidiano tedesco Der Tagesspiegel e al ThePressProject International, ripresa dal sito vocidallestero, il deputato greco di Syriza ed economista Costas Lapavitsas afferma che è giunto il momento che la Grecia e i paesi partner capiscano di “star frustando un cavallo morto”. Dovrebbero piuttosto lavorare insieme per “un’uscita concordata e consensuale”. Il primo passo? “Dopo cinque anni di terrorismo e disinformazione, finalmente ci deve essere un vero dibattito pubblico”. Non è una novità che Costas Lapavitsas, professore alla SOAS di Londra, sia un attivo sostenitore dell’uscita della Grecia dall’euro, il “Grexit” – ma è la prima volta che lo fa da quando è stato eletto deputato con Syriza, nel gennaio 2015. Le sue idee erano state ignorate non solo dai suoi avversari politici, ma anche dai ministri del suo stesso partito. Tuttavia, anche se si è in disaccordo con le idee di Lapavitsas sulla moneta, è difficile respingere la sua analisi – confermata dagli sviluppi delle ultime settimane – che nell’Eurozona non sembra essere possibile alcuna effettiva via di mezzo tra l’austerità e il Grexit: “La direzione del partito sa che si trova di fronte ad una scelta molto difficile: dobbiamo andare avanti con il programma che abbiamo presentato al popolo greco? Oppure dobbiamo sottometterci a ciò che le Istituzioni, il gruppo di Bruxelles, la Troika, o comunque la vogliate chiamare, ci chiedono? Le due cose sono incompatibili.”
Le sue due recenti interviste sul giornale tedesco “Bild” e sulla rivista statunitense “Jacobin” (qui una traduzione in italiano) hanno avviato una raffica di reazioni in Grecia: “Un piano folle di ritorno alla dracma e razionamento del gas!” (link in Greco) ha titolato il giornale “moderato” TOC, seguito da titoli dello stesso tenore sui maggiori media del paese. Quanto è saggio che un dibattito che ha dominato le colonne dei giornali di tutto il mondo e le sessioni plenarie dei parlamenti dell’intero continente rimanga tabù nel paese maggiormente interessato? Non importa se il Grexit alla fine è una strategia catastrofica oppure “l’unica soluzione logica”, il punto che questa intervista congiunta al quotidiano berlinese Der Tagesspiegel e al ThePressProject International vuole trasmettere è che “ci deve essere finalmente un vero dibattito pubblico”.
Qual’è la sua opinione sulle trattative finora? Come sta andando il governo?
La strategia di Syriza è stata –ed è ancora– quella che un mutamento nell’allineamento delle forze politiche in Grecia, in Europa, o in generale, potrebbe agire da catalizzatore nell’Eurozona. Questa strategia si è esaurita. La vera questione è quanto tempo ci vorrà prima che la gente lo capisca. Sono sempre stato estremamente scettico su questo. Ho sempre sostenuto che non si tratta solo di un orientamento politico, che ci sono anche dei meccanismi istituzionali e c’è la logica dell’unione monetaria. E quelli che credono che un semplice cambiamento nelle politiche sia sufficiente per trasformare tutto ciò, si sono sbagliati, e ritengo che questo sia stato confermato. Quello a cui abbiamo assistito è che il quadro istituzionale dell’Eurozona e l’apparato ideologico ad esso connesso non sono sensibili agli argomenti che provengono da orientamenti diversi dell’elettorato. L’accordo raggiunto il 20 febbraio con l’eurogruppo ne è la conferma.
I membri del suo partito si sono accorti che questa strategia si è esaurita?
Syriza è una grossa organizzazione che è cresciuta molto rapidamente. Essa rispecchia la società. Non è una sorta di partito tradizionale della sinistra, e quindi c’è una varietà di opinioni e coscienze politiche diverse. Penso che la direzione del partito sappia di trovarsi di fronte ad una scelta molto difficile: dobbiamo andare avanti con il programma che abbiamo presentato al popolo greco? Oppure dobbiamo sottometterci a ciò che le Istituzioni, il gruppo di Bruxelles, la Troika o comunque la vogliate chiamare, ci chiedono? Le due cose sono incompatibili.
Quindi non c’è una via di mezzo?
Non c’è una via di mezzo. L’Eurozona non lo permetterebbe. Vuol sapere se penso che la direzione ne sia rimasta sorpresa? Sì, sospetto che sia così, in una certa misura. Perché a mio parere la direzione credeva sinceramente che sarebbe bastato cambiare l’allineamento politico, l’aritmetica elettorale, e su questa base cambiare l’Europa, cambiare le politiche europee.
Quindi cosa dovrebbe fare il governo greco secondo Lei?
La Grecia deve considerare il vero percorso alternativo, che è abbandonare questa unione monetaria fallita. Era chiaramente fin dall’inizio l’unica strada possibile – cioè in definitiva l’uscita. Se si vuole attuare un programma come quello che Syriza ha presentato, che non è un programma radicale – il programma di Syriza è semplicemente un moderato programma keynesiano –, bisogna pensare seriamente a come uscire dai confini dell’Eurozona.
Lei pensa che Syriza abbia il mandato per farlo?
La risposta diretta è no. Syriza ha ricevuto il mandato per adempiere al suo programma. Indirettamente, non direttamente, ha il mandato di mantenere il paese nell’Eurozona. Ma questa questione non è mai stata apertamente sottoposta al popolo greco.
La soluzione potrebbe essere un referendum?
La prima cosa da fare non è tanto quella di discutere la possibilità di un referendum, quanto quella di una strategia alternativa. Ci deve finalmente essere un vero dibattito pubblico. Non è facile perché per cinque anni il paese è stato sottoposto alla più incredibile campagna di terrorismo e di disinformazione. Quindi l’atmosfera è stata avvelenata in modo molto pesante. Non è impossibile aprire un dibattito ora, ma è molto più difficile di quanto lo poteva essere qualche anno fa. A mio parere la migliore strategia, ora, è quella che definisco un’uscita consensuale e ordinata. Non un’uscita conflittuale.
Può spiegarlo meglio?
Penso che la Grecia dovrebbe porsi l’obiettivo di negoziare un’uscita che sia fondamentalmente senza strappi, senza cadute, senza conflittualità, senza azioni unilaterali. Sarebbe a dire: si effettua un’uscita, e la Grecia cerca di ottenere una profonda ristrutturazione del debito. Perché i paesi membri dell’UE dovrebbero accettare? L’uscita presenta due aspetti che l’Eurozona non vuole: l’uscita stessa e la ristrutturazione del debito. Non sono del tutto sicuro che l’Eurozona non voglia l’uscita. Ho il sospetto che la voglia. Per come la vedo, se un paese chiedesse un’uscita concordata, potrebbe anche ottenerla. La Germania, Schauble, nel 2011 era favore di un’uscita concordata. Il prezzo da pagare, per l’Eurozona, sarebbe la ristrutturazione del debito. Ma ci sono anche altri due elementi molto importanti: la protezione del tasso di cambio e la protezione delle banche. Questi sarebbero essenzialmente privi di costi per la BCE, perché la Grecia è un paese piccolo.
Cosa ne otterrebbe l’Europa?
Pace e tranquillità. [Pausa…] Per un periodo.
Perché solo per un periodo?
Perché l’unione monetaria è, a mio giudizio, un grosso fallimento storico. È il più grande fallimento dell’Europa da decenni a questa parte. E non potrà durare. Ma ovviamente potrebbe durare abbastanza a lungo perché la Grecia ne muoia. Certo i sostenitori dell’Eurozona ritengono che essa durerà per sempre. È un’illusione storica. Le unioni monetarie non durano così a lungo. Lasciateglielo pure credere. Va bene così.
L’Unione Europea potrebbe sopravvivere, come costruzione politica, se i paesi uscissero dall’unione monetaria?
Nel corso di 15 anni l’unione monetaria ha disintegrato tutta la buona volontà che l’Unione Europea aveva generato in Europa. La condizione delle relazioni tra i paesi europei oggi è probabilmente la peggiore da decenni a questa parte. Lo stato delle cose che vediamo tra Germania e Grecia è spaventoso, assolutamente atroce. E ciò è dovuto all’euro. Questa è la prova che questa moneta non genera solidarietà. Questa moneta crea divisioni. E questa, di nuovo, è la maggiore evidenza del suo fallimento. Ora la testardaggine, la riluttanza ad ammettere il fallimento durante gli ultimi cinque anni sta peggiorando sempre di più le cose. Ciò che l’UE ha fatto negli ultimi cinque anni è stato legarsi sempre più strettamente alla moneta unica, anziché ristrutturarla in profondità. Ha solo reso tutto più difficile. Perciò sì, se ora la moneta unica fallisce, come penso che fallirà, allora tutta l’UE sarà messa in discussione, e questo è il prezzo da pagare per quell’errore storico che è la moneta unica.
Quindi, per la Grecia, lasciare l’Eurozona significa pure lasciare l’UE?
La cosa più importante è distinguere tra UE ed Eurozona. In questo paese, così come nella maggior parte d’Europa, c’è da anni una forte confusione su questo. Si dice che l’appartenenza all’una equivale all’appartenenza all’altra. Ovviamente è assurdo, perché ci sono paesi membri dell’UE che non sono membri dell’unione monetaria. Se la Grecia lasciasse l’euro, non sarebbe costretta a lasciare l’UE allo stesso tempo. Se i greci vogliono abbandonare l’UE, lasciategli abbandonare l’UE. Ma questa è una questione diversa. Questa confusione è fatale, ed è stata usata in modo ideologico…
LA GERMANIA È IL PAESE PIÙ “DELINQUENTE”
C’erano meccanismi che ci legavano anche prima dell’unione monetaria…
I regimi monetari precedenti non sono stati un successo ma, a confronto con il disastro che è stato la moneta unica, sono esempi luminosi. Il punto è questo: l’Europa ha bisogno di un sistema monetario che permetta la flessibilità delle valute. Non ha alcun senso imporre un sistema monetario inflessibile e allo stesso tempo creare flessibilità nei mercati del lavoro e nel settore privato. Ma la ragione più profonda del fallimento dell’euro è, ovviamente, la politica tedesca.
E perché?
La Germania è il paese più delinquente dell’Europa. Non la Grecia, non la Spagna, non l’Italia. E certamente non la Francia. La Francia sta rispettando le regole molto più della Germania. La Germania ha violato le regole e ve lo posso spiegare molto semplicemente: la Germania spesso accusa la Grecia – lo fa, per esempio, Schauble – di aver vissuto al di sopra dei propri mezzi. Vero. Ma allora la Germania ha vissuto sistematicamente al di sotto dei propri mezzi, ed è così che ha generato il suo export, non con la tecnologia, con la produttività e tutte queste cose. Questo è il motivo del suo successo. Ma quando si sta in un’unione monetaria non può andar male vivere al di sopra dei propri mezzi e al tempo stesso andar bene vivere al di sotto di essi. La vera regola deve essere vivere secondo i propri mezzi. Dunque la Germania non ha rispettato le regole, e il prezzo è stato pagato dai cittadini tedeschi. Io so benissimo come vivono i cittadini tedeschi. So bene che i salari non sono cresciuti per anni, che un terzo della forza lavoro vive in condizioni di precariato. Occupazione precaria, salari al di sotto della produttività…
Quindi Lei dice che l’euro non è stato una buona cosa nemmeno per i cittadini tedeschi…
Questo spiega anche perché i cittadini tedeschi siano così infastiditi e arrabbiati quando si tratta di inviare soldi all’estero e pagare per gli altri. Certo, anch’io sarei arrabbiato, al posto loro: vivi stringendo la cinghia, conti ogni singolo fagiolo, e poi arriva qualcuno e ti dice “devi pagare”. D’altro canto, per le imprese esportatrici tedesche, per le banche tedesche, la storia è ben diversa. Se la sono passata bene. Ma questa è cosa che devono essere i tedeschi a sistemare.
Lei pensa che i tedeschi vengano tenuti nella paura per uno scopo preciso? Se sei tedesco ti continuano a dire “le cose peggioreranno”. La Germania – ci viene detto – non sta andando bene come potrebbe, l’Europa non sta andando bene come potrebbe, c’è la Cina, c’è l’India, c’è la globalizzazione…
La globalizzazione è una di quelle parole che vogliono dire tutto e niente. C’è stata una politica coerente, da parte dell’establishment tedesco, volta a spaventare l’opinione pubblica tedesca e i lavoratori tedeschi, a tenerli nella paura del domani e della disoccupazione in particolare, non c’è dubbio. L’idea originaria, nel 1998-1999, quando la disoccupazione era alta, era quella che si sarebbero accettati salari bassi al fine di ripristinare i livelli di occupazione entro i confini dell’unione monetaria. Ora la tesi sembra essere “dobbiamo accettare bassi salari per competere con la Cina”. Non c’è fine a questo. La verità è che i bassi salari non fanno bene alla Germania. La Germania ha bisogno di una politica che stimoli la domanda interna. Questo è neo-mercantilismo, l’idea che la crescita venga solo dall’esterno, che la ricchezza abbia bisogno di esportazioni.
UN PIANO IN TRE FASI PER LA GRECIA
Stai sostenendo la stessa cosa per la Grecia? La domanda interna sarebbe la chiave del ritorno alla crescita? La Grecia deve tornare a sostenersi sulle proprie gambe?
Ci sono tre fasi. In primo luogo, come ho detto, ci deve essere un’uscita concordata, consensuale e ordinata. La seconda fase è la ripresa, e questa dovrebbe dipendere perlopiù dalla ripresa della domanda interna, che è stata pesantemente repressa in questo paese. Ci sono molte risorse che giacciono inutilizzate. Le piccole e medie imprese verrebbero riattivate, ciò farebbe davvero ripartire l’economia greca. Non le esportazioni – questa adorazione delle esportazioni non ha senso. Ma questo ovviamente non è un vero percorso per una crescita sostenibile. Ciò di cui la Grecia avrebbe bisogno in seguito sarebbe una politica industriale per ristrutturare la sua base produttiva, integrarsi nell’economia mondiale su una base differente. Questo richiederà degli anni. Ma la Grecia sarebbe ancora parte di un mercato comune, in quanto membro dell’UE. Quindi non è tanto semplice tornare alla domanda interna e alle piccole e medie imprese, perché si dovrebbero cacciare fuori le grandi imprese che ancora potrebbero vendere a bassi prezzi. Penso che la Grecia potrebbe compensare le importazioni molto facilmente. Purtroppo i salari sono stati distrutti nel corso di cinque anni di politiche di salvataggi. Una svalutazione nel 15-20% (ma non di più, dato che come ho detto la BCE dovrebbe difendere il tasso di cambio) darebbe un enorme vantaggio competitivo. I salari potrebbero allora tornare a crescere.
Quali sono le probabilità che ciò avvenga? Che la Grecia scelga questo percorso?
Nel 2010 dissi che c’erano tre possibili soluzioni. L’austerità, “l’euro buono”, e l’uscita. Dissi che la soluzione più probabile sarebbe stata l’austerità, e che sarebbe stata un disastro. Per quanto riguarda la strategia dell'”euro buono” (cioè che si facciano delle politiche keynesiane entro i confini dell’Eurozona – ovvero la strategia di Syriza), dissi che le possibilità che ciò avvenisse erano praticamente a zero. La strategia dell’uscita è l’unica strategia logica. La vera questione è se sarà un’uscita conflittuale oppure ordinata. Non lo so. Ma ad un certo punto l’uscita ci sarà.
LA VELENOSA IDEOLOGIA DELL'”EUROPEISMO”
Come può essere ordinata, l’uscita, se quando anche solo un cenno che i negoziati non stanno andando bene porta panico e paura di corsa agli sportelli?
La prima cosa da fare per l’UE e la Grecia è capire che stanno frustando un cavallo morto. Dopo cinque anni di torture, è tempo di finirla. Questa strategia si è esaurita. Un po’ di buon senso per favore. Quando parlo di obiettivo strategico, intendo questo. Le persone devono accettare questo fatto. E quelli che si rifiutano di capire lo fanno per ragioni ideologiche, perché questa ideologia sta avvelenando il dibattito.
Quale sarebbe questa ideologia?
Non è il neoliberismo, ma l’europeismo. L’idea di Europa come un’entità trascendente che è buona per tutti noi e a cui tutti apparteniamo. Questa grande finzione che è emersa nei paesi dominanti e che è penetrata nei paesi più deboli. Sono un socialista vecchio stampo, nel vecchio senso della parola, l’idea di Stati Uniti d’Europa, di solidarietà europea, è un’idea socialista e la condivido. Ovviamente è stata anche un’idea dei nazisti, la usava Hitler. Nessuno ha il monopolio dell’idea di un’Europa unita.
Non credo in un unico popolo europeo, non esiste un demos europeo, e non dovrebbe nemmeno esistere. L’Europa è pluralità, sono diverse lingue, diverse culture. Da quando è diventato desiderabile, per tutti noi, essere semplicemente europei, essere una cosa unica?
Ci sono illusioni e ideologie. Non vedo convergenza politica, vedo l’ascesa del fascismo, l’ascesa dell’estrema destra, vedo estrema tensione. Il Front National in Francia ha il 30% dei voti, e per come stanno andando le cose non sarei sorpreso se il prossimo presidente francese fosse un fascista.
Se l’euro è stata un’idea così cattiva, perché c’è questa “testardaggine” – come lei la chiama – in tutta Europa, per sostenerlo? Quali sono gli interessi dietro questa idea?
La moneta è anche l’incarnazione di relazioni non-economiche. È l’incarnazione di relazioni sociali, ha attaccata ad essa un’identità. Ciò significa di solito identità nazionale. Gli americani sono il dollaro, i britannici sono la sterlina, i tedeschi erano abituati ad essere il marco tedesco. L’euro, specialmente nei paesi periferici, ha finito per significare essere europei. Lo vedi nei paesi baltici. Quindi c’è un elemento di identità e un elemento di politica internazionale.
Ma perché i paesi del centro dell’UE sono così attaccati all’idea di moneta unica?
Penso che i paesi del centro non sappiano come venirne fuori. Quindici anni fa è stato fatto un grosso sbaglio, e i rischi legati al venirne fuori sono percepiti come molto elevati. Al tempo stesso interessi particolari, nel settore delle esportazioni, nel settore bancario, lo stanno difendendo fortemente perché esso è servito alle loro strategie.
[Una versione abbreviata di questa intervista è stata pubblicata in tedesco sul quotidiano berlinese Der Tagesspiegel.]