domenica 31 maggio 2009

Design alla MODA: Feng Shui significa –letteralmente- Vento e Acqua x il Bene-Essere della famiglia...


Il Feng Shui è un'antica arte geomantica taoista, origina dalla Cina, diffondendosi poi in Occidente a partire dalla fine dello scorso millennio. In sintesi si definisce come l’arte del vivere ed abitare in armonia con le forze vitali del respiro delle nature dei regni minerale, vegetale, animale ed umano.
Il Feng Shui si riferisce all' I Ching, significa –letteralmente- vento e acqua, e al modo in cui questi elementi influenzano il movimento dell'energia nell'ambiente. Si basa sulla convinzione che il luogo dove si vive e dove si collocano le varie stanze della casa influenzi in modo significativo l'armonia e quindi il bene-essere della vita umana.
L'orientamento, il progetto della abitazione, la disposizione dell'arredamento, la direzione (nord) in cui il letto è posto, i colori e gli ornamenti che vi si trovano contribuiscono a creare un ambiente più o meno rilassante e più o meno denso di stimoli.
L’architettura del Benessere vuole ricollocare l’uomo al centro del Cosmo, interpretarne le emozioni trasformandone i sogni. Il feng shui aiuta a “valutare” una casa dal punto di vista energetico e a decidere i "modi migliori" da adottare per armonizzare l'energia all'interno del bene-essere della casa alla famiglia che la abita.

domenica 17 maggio 2009

ORO LONGOBARDO A CIVIDALE del Friuli (UD)
l'antica Forum Iulii da cui il nome "Friuli"

venerdì 1 maggio 2009

Sergio Marchionne: l’Era del "Grande-Uomo", dell’Individualismo, del Battitore-Libero che Da-Solo Risolve i Problemi di un’Organizzazione è Morta e Sepolta"...


Sergio Marchionne A.D. FIAT, lectio al Politecnico di Torino
ecco alcuni stralci... di una lectio piena di spunti su cui vale forse proprio la pena di riflettere a fondo...

"…ho letto in questi anni molti libri sul legame tra la Fiat e l’Italia.
La tesi generale è che se la Fiat va bene, l’economia italiana tira … credo sia ancora più vero il contrario: ciò che è bene per l’Italia è bene per la Fiat.

Noi siamo impegnati a dare il nostro contributo per creare una società migliore.

Stiamo costruendo una nuova Fiat sulle “radici” di quella precedente.
Si tratta di un lavoro appena iniziato che chiama a raccolta le migliori energie della gente che lavora oggi nel Gruppo.
La Fiat è un cantiere aperto.
Il mondo in cui operiamo è complesso, a volte caotico. I problemi che dobbiamo affrontare cambiano ogni giorno. Le variabili in gioco sono così tante e così grandi...
Tutto questo richiede al sistema una flessibilità enorme.
Richiede grande rapidità e la capacità di adeguarsi in tempo-reale ai cambiamenti del mercato.

In caso contrario, rischiamo di fare la fine del cervo abbagliato dai fari di un’automobile. Spaventato e immobile, spesso ne viene travolto.

La velocità di risposta a quello che non possiamo prevedere è l’unica arma che abbiamo per batterci ogni giorno.
Dotare l’azienda di un’architettura aperta vuol dire esattamente questo.
“Il futuro – ha scritto Karl Popper – è molto aperto e dipende da noi, da tutti noi.

E quello che facciamo e faremo dipende, a sua volta, da come vediamo il mondo e da come valutiamo le possibilità del futuro…
Dobbiamo diventare gli artefici del nostro destino.
Dobbiamo imparare a fare le cose nel miglior modo che ci è possibile.
Ma questo significa che “dobbiamo cambiare noi stessi”.
….
Per un’industria grande e complessa come la nostra è molto difficile ma è essenziale se vogliamo cogliere tutte le opportunità che si presentano.
E fa la differenza tra vincere o soccombere.
La tendenza a ritornare ad un “sistema di riposo”, come previsto dai principi enunciati da Newton, è enorme. Gli esempi sono numerosi. E frequenti.

Lo abbiamo riscontrato ieri, in una lunga riunione con alcuni nostri leader, impegnati a valutare i problemi dovuti al rallentamento del mercato dell’auto in Europa.
Siamo tornati a raccontarci le stesse storie che ci raccontavamo quattro anni fa, le stesse scuse che ci hanno portato nel passato ad accettare d’essere mediocre e a considerarci vittime di un processo gestito da altri.

Il “sistema manageriale della Fiat” non può permettere che ciò accada.

Dobbiamo buttarci nel gioco senza neppure chiederci quale sarà la partita, perché, quasi sempre, non è dato saperlo in anticipo.

In tutto questo, l’unica cosa che possiamo stabilire sono gli obiettivi.

Lo abbiamo fatto in maniera chiara e rigorosa, a prescindere da quelle che sarebbero state le condizioni del mercato e dell’economia mondiale.
Forse è anche per questo motivo che qualcuno si è tanto sorpreso quando li abbiamo raggiunti.

Era impossibile prevedere queste cose, come tante altre.
Eppure non abbiamo spostato i nostri obiettivi.

La flessibilità e la natura aperta del sistema aziendale sono la garanzia che li raggiungeremo.
Adesso, il nostro impegno è fare in modo che “il cambiamento” non sia più qualcosa di imposto ma diventi un elemento naturale.

Fiat e qual è stata la “ricetta magica”.
Quello che posso dirvi è che non c’è una ricetta industriale valida per ogni azienda.

Esiste però un approccio comune che è trasversale a tutte e che permette di risolvere anche le situazioni più difficili.

Mi riferisco al fatto di riconoscere il ruolo centrale che hanno le persone e i leader che le gestiscono.
La qualità delle persone è essenziale e niente la può sostituire.
Ogni impresa è il risultato delle persone che ci lavorano e dei rapporti che si instaurano tra di loro.
Per questo è così importante la qualità dei manager, la loro coesione.
Il fatto di condividere la stessa direzione, gli stessi metodi, gli stessi obiettivi.
E’ l’unione di tutti i leader intorno ad un sistema di valori comuni.
Questo è l’unico segreto che conosco.

Le “Organizzazioni” non sono nient’altro che l’insieme della volontà collettiva e delle aspirazioni delle persone coinvolte.

La realtà di oggi richiede che il “concetto di leadership” venga ricalibrato.

Ogni anno business schools preparano migliaia di uomini e di donne nella scienza del management, della gestione di organizzazioni. Quello che in qualche modo si va a perdere in questa preparazione è che la leadership non è solo questione di processi o di misure.

La leadership è una vocazione nobile – è qualche cosa che arricchisce la vita delle persone.
E quello che molti trascurano è che “la leadership è un privilegio”.

Organizzazioni create negli ultimi duecento anni sono state il prodotto di due ampie premesse.

La prima è che “senza regole” politiche e procedure estese le persone reagiscono in maniera “irresponsabile”.

La seconda è che il modo migliore di organizzare un’azienda è di creare “semplici lavori” collegati assieme da “processi complessi”.

La prima distrugge la fiducia, la seconda ruba alle persone coinvolte qualsiasi percezione di valore personale.
Gestire organizzazioni in base a questi principi non è leadership.

La leadership delle persone e del cambiamento sono diventate la base della ripresa della nuova Fiat. Credo che la leadership non sia mai stata così importante e difficile come in questa epoca.

Il mondo in cui viviamo è "nuovo" ogni giorno.

La probabilità che il futuro sia la replica del passato è"nulla".

Parlare di leadership è complicato perché non si può ridurre a una teoria manageriale.

Le variabili in gioco sono "tante" e il modo in cui agisce è "profondo".

La leadership “nasce”nella nostra mente, nei nostri cuori, nella nostra capacità di vedere il futuro.

Per tutto questo “essere leader” oggi è così importante e così difficile.

Il suo compito più importante è quello di scegliere i leader giusti e metterli al posto giusto.

Per “leader giusti” intendo persone che hanno il coraggio di sfidare l’ovvio, di seguire strade mai battute, di rompere schemi e vecchie abitudini che sono visibili alla concorrenza, di andare oltre a quello che si è già visto.

Uomini e donne che comprendono il concetto di servizio, di comunità, di rispetto per gli altri.

Sono persone che agiscono con rapidità, ma hanno la capacità di ascoltare.

Sono affidabili. Nel senso che mantengono sempre le promesse fatte e non fanno promesse se non sono in grado di mantenerle.
E soprattutto hanno la visione del loro agire in un contesto sociale.
…idea, elaborata dal grande generale prussiano Von Clausewitz, secondo cui la strategia non può essere ridotta ad un insieme di formule.

Nel migliore dei casi, è un insieme di obiettivi di largo respiro, che possono essere soltanto raggiunti cogliendo le opportunità nel loro divenire.

Come peraltro succede in “GUERRA”, la pianificazione dettagliata fallisce a causa di attriti imprevisti, errori di esecuzione, ma soprattutto a causa dell’esercizio imprevedibile della volontà individuale da parte della concorrenza.

C’è una svolta culturale che le donne e gli uomini della nostra azienda hanno impresso al loro modo di pensare e di agire.
A queste persone noi dobbiamo assicurare libertà di manovra e ampia autonomia.

Dobbiamo garantire un sistema meritocratico, perché è l’unico modo per garantire le migliori risorse per il Gruppo e per dare a chiunque la possibilità di emergere e dimostrare quello che vale.
Dobbiamo dare loro la possibilità di crescere perché è l’unica via per assicurare anche la crescita dell’azienda.
Credo che questo sia il compito di un amministratore delegato.
E in tutto questo, dobbiamo smitizzare la sua figura.

L’era del Grande uomo, dell’individualismo, del battitore libero che da solo risolve i problemi di un’organizzazione è morta e sepolta.

I leaders, quelli veri, non sono nient’altro che strumenti di cambiamento.

Chiarezza, coerenza, adesione a principi forti e tensione verso un obiettivo sono le cose che ho cercato di introdurre nel nostro Gruppo.

Ma il cambiamento lo hanno fatto e lo fanno altre persone.

Sono loro gli artefici della nuova Fiat.
Assisterli, consigliarli, guidarli, e anche disciplinarli mentre la stanno costruendo fa parte del mio mandato. Ma la cosa che mi rende più orgoglioso è osservare il loro successo, l’impatto che ha su di loro, sulla fiducia che hanno in loro stessi e sulla visione che si formano del loro futuro.
….prepararvi a far parte della squadra che darà forma al futuro.
Di solito si ritiene che la vita delle persone sia suddivisa in due momenti distinti.

Quello della formazione e quello dell’attività lavorativa.

Si crede che il primo periodo della vita serva a dare all’individuo quelle conoscenze sufficienti ad affrontare la fase successiva.
Con l’idea che le nozioni apprese possano bastare a ricoprire ruoli e mansioni stabili nel tempo.
Penso che una persona così si trovi del tutto disarmata di fronte ad un mondo che cambia alla velocità della luce.

Questo scriveva Hegel nella prefazione ai Lineamenti di Filosofia del Diritto:
“A dire anche una parola sulla dottrina di come deve essere il mondo, la filosofia arriva sempre troppo tardi. Come pensiero del mondo, essa appare per la prima volta nel tempo, dopo che la realtà ha compiuto il suo processo di formazione ed è bell'e fatta….
Quando la filosofia dipinge a chiaroscuro, allora un aspetto della vita è invecchiato, e, dal chiaroscuro esso non si lascia ringiovanire, ma soltanto riconoscere: la nottola di Minerva inizia il suo volo sul far del crepuscolo”.
..
L’idea che, alla fine di tutto, il vero obiettivo è l’uomo e la società in cui vive.
Più di 70 anni fa, questo fu l’invito che fece Einstein:
“Bisognerebbe evitare di predicare ai giovani il successo nella solita forma come lo scopo principale della vita. Il valore di un uomo si dovrebbe giudicare da quello che egli dà e non da quello che riceve. Il motivo più importante per lavorare, a scuola e nella vita, è il piacere che si riceve dal lavoro, dai suoi risultati e la conoscenza del valore che questi risultati hanno per la comunità”.
..
Concentrarsi su se stessi è una così piccola ambizione.
E’ come dar vita ad una tragedia senza eroi.

Il giudizio su quello che una persona ha fatto nel corso della sua carriera non dipende da quello che ha raggiunto,
ma solo da quello che ha lasciato.

Senza dubbio il mondo di oggi si trova in un momento difficile da capire e da gestire.
Ma non penso che ci siano età più facili di altre.
In ogni epoca, milioni di persone si trovano a fare i conti con quello che è stato lasciato dal passato.

E’ la storia della vita, quando capita di venire in possesso di un’eredità enorme.
Non hai fatto nulla per averla.
A quel punto, puoi scegliere cosa fare per chi domani dovrà raccogliere la tua eredità.
..
Due anni e mezzo fa, dopo aver visto gli ultimi dati finanziari del 2005, ci siamo resi conto di aver raggiunto l’obiettivo. Avevamo guadagnato – poco, ma avevamo guadagnato - vendendo auto, dopo 17 trimestri consecutivi di perdite.
In quell’occasione, decisi di inviare una lettera a tutti i membri del comitato di gestione di Fiat Group Automobiles per ringraziarli di ciò che avevano realizzato e per riaffermare la base del nostro futuro.
E’ una lettera personale, che forse vi stupirà, ma che racchiude quelli che considero i valori fondamentali nell’esercizio della leadership…

"Il 2005 è arrivato e se ne è andato velocemente. Abbiamo iniziato l’anno portando sulle spalle una lunga storia di fallimenti, delusioni e di promesse mancate. Assieme ad una profonda preoccupazione per le sfide future.
Mi ricordo di quando ero seduto con voi in una sala riunioni del Lingotto all’inizio del 2005 e vi ho detto che avreste raggiunto gli obiettivi e che nonostante tutte le difficoltà, non vi avrei permesso di mancarli.
Mi ricordo anche dello sguardo perplesso e incredulo sul volto di alcuni di voi mentre guardavate questo uomo che in vita sua non aveva mai costruito o venduto una automobile, ma era così determinato nel costruire il futuro. Il vostro futuro.
Bene, un anno è passato e voi avete raggiunto gli obiettivi. Anzi, li avete raggiunti e superati.
Quello che sapevo allora e che ho imparato durante la mia crescita come leader è che:
 la cultura, il collante delle organizzazioni, non è solo una parte della vita aziendale: 
è l’essenza stessa della vita.
Questo "collante" è tenuto assieme, continuamente, incessantemente da tutti i membri di un gruppo, e non dalle azioni di un singolo individuo.

Adesso noi dobbiamo completare quello che abbiamo iniziato nel 2005, con precisione e con la stessa passione che ci ha portato fino a qui e che ci ha permesso di celebrare, ieri sera, il nostro primo piccolo successo.
Guardando a quello che abbiamo fatto nel 2005, ciò di cui sono più orgoglioso non sono i numeri che diffonderemo questa mattina ma il fatto che siete tutti cresciuti sia come individui che come leader.
Tra gli indigeni dell’Africa sub-sahariana è diffuso lo spirito di ubuntu. Questa parola fa parte di una frase più lunga, umuntu ngumuntu nagabantu, che tradotto letteralmente dallo Zulu vuol dire “una persona è una persona grazie agli altri”. (ndr:"io sono perchè siamo")
Quando tu ti muovi in questo ambiente, la tua identità, quello che sei come persona, deriva dal fatto che sei visto e riconosciuto come una persona dagli altri.

Questo si riflette nel modo in cui le persone si salutano.
L’equivalente di “salve” è sawu bona che letteralmente significa “ti vedo”.
La risposta è sikhona, “sono qui”.

Quello che è importante nello scambio di saluti è che non esisti fino a quando non sei riconosciuto.

Le implicazioni di questi usi sociali sono importanti. Nel mondo occidentale noi pensiamo che sia normale non salutare qualcuno quando siamo sotto pressione per lavoro o altri impegni.
Nel mondo di Ubuntu questo annullerebbe l’esistenza dell’altro.
Il riconoscimento da parte degli altri è quello che ci rende persone. Senza questo riconoscimento non esistiamo.

Nel rendere Fiat un Grande Gruppo, il nostro compito è di affrontare questa enorme sfida con il reciproco rispetto e predisposizione che fanno parte dello spirito di Ubuntu. La forma e il significato di Fiat dipenderanno dalle aspirazioni e dall’impegno di coloro che la guidano. È’ una straordinaria responsabilità, ma non c’è niente di meglio nella vita.
Da parte mia, quale vostro leader, vi posso dire una sola cosa.
Vi vedo.
Sono lieto che siate "qui".
La lettera finisce "qui".
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Vi vedo.
Sono lieto che siate "qui". La lettera finisce "qui".

Forum Mondiale Economia di Davos (CH) 1999 parla Nelson Mandela (Sudafrica):
E’ mai possibile che la globalizzazione porti benefici solo ai potenti, a chi ha in mano le sorti della finanza, della speculazione, degli investimenti, delle imprese?
E’ possibile che non abbia nulla da offrire agli uomini, alle donne e ai bambini che vengono devastati dalla violenza della povertà?
E ora capirete perché quest’uomo ormai vecchio, quasi al tramonto della propria vita pubblica e alle soglie del nuovo secolo, al quale avete concesso il privilegio di prendere commiato da voi, abbia sollevato questi aspetti così concreti di questioni ancora irrisolte”.

…chi ha la responsabilità di gestire un’azienda globale ha il dovere di allargare la propria mente e guardare al di là delle mura di un ufficio…

C’è una realtà che non possiamo dimenticare.
…mi chiedo se abbiamo “modelli mentali” così rigidi che - anche di fronte a chiari segnali di minaccia dal mercato - continuiamo a restare indifferenti nel nostro benessere e non proviamo disagio di fronte a chi non ha nulla….

Trovare una soluzione ai problemi sollevati da Mandela significa trovare una soluzione alla gestione del libero mercato.

Abbiamo il “dovere” di contribuire a colmare questo divario.

Abbiamo il “dovere” di riparare le conseguenze che derivano dal funzionamento dei mercati.